“Ci sono molte cose in comune tra il mondo del calcio e il mondo della scienza: l’avversario va studiato e anticipato, è ciò che ho sempre fatto giocando a pallone. Non essendo un giocatore fisico usavo più la testa che i piedi, perché il calcio è anche questo, non è solo muscoli e altezza “

Così Paolo Rossi ha esordito nella conferenza tenutasi il 12 Ottobre nell’aula magna dell’Istituto Superiore di

Sanità, che ha riunito tutti gli appassionati di calcio e coloro che hanno vissuto da casa il mondiale del 1982, in cui la nazionale azzurra trionfò grazie soprattutto alle prodezze dell’attaccante toscano. Paolo nella sua carriera non è stato particolarmente fortunato, poiché è stato spesso colpito da gravi infortuni che lo hanno allontanato dai campi di gioco, mettendo a dura prova il suo futuro da calciatore; questo perché gli infortuni più gravi li ha subiti in giovane età, proprio nel momento in cui già dimostrava il suo talento con la maglia della Juventus a soli 16 anni. Nonostante i tre interventi al menisco, il giovane talento azzurro non ha mai smesso di credere nelle proprie potenzialità, ed è riuscito a uscire da quei lunghi periodi di stop più forte di prima, come egli stesso ha sottolineato più volte durante l’intervista. “Non è mai facile a quell’età riuscire a sopportare tre interventi in tre anni, ma la forza di volontà mi spingeva a non fermarmi e ad inseguire il mio sogno.

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Ho sempre pensato che forse sono state queste difficoltà a rendermi più forte e che tutta la sfortuna che ho avuto all’inizio, sia stata ripagata con i successi in carriera”.

Le domande successive riguardavano soprattutto l’esperienza del mondiale del 1982, che vide Rossi protagonista assoluto nella conquista del titolo. L’attaccante rispondendo ha citato più volte il suo forte legame con il CT azzurro Enzo Bearzot, una personalità che, a sua detta, sapeva essere amichevole e allo stesso tempo molto professionale. “Dietro a ogni azione e ogni goal c’era un suo studio accurato fatto in allenamento e la chiave di ogni successo era sempre la squadra, mai il singolo”. Poi proseguì affermando che “sul campo non ci si rende conto di una vittoria come quella di un mondiale, perché si è talmente concentrati sul campo che a fine partita è come se il momento di festeggiare fosse già passato”. Verso la fine della conferenza sono state fatte domande più specifiche riguardo il suo progetto nelle scuole con la FAO sulla fame del mondo e riguardo il doping nel calcio (tema molto caro all’Istituto Superiore di Sanità che ha contribuito attivamente allo smascheramento di diversi casi, attraverso analisi in laboratorio), che si ricollega sicuramente ai numerosi scandali in cui diversi calciatori juventini erano stati coinvolti. “In tutta la mia carriera non ho mai fatto uso di sostanze stupefacenti e nessuno, che io ne sappia, assumeva droghe in grado di aumentare le prestazioni, non sapevamo nemmeno che esistessero. Forse è successo qualcosa dopo, ma ho sempre confidato nella serietà dei controlli in Italia”.

In conclusione è stato dato spazio alle domande del pubblico a cui Paolo Rossi ha risposto con molta disponibilità e concretezza facendo considerazioni sul gioco del calcio, dal punto di vista di un atleta che nella sua carriera ha raggiunto ogni obiettivo e che dunque può confrontarsi con quello che è il calcio moderno.

“Il calcio non è solo un gioco come molti affermano, ma è anche una scuola di vita, in quanto insegna valori importanti. Il calcio unisce, perché si può giocare con chiunque ovunque, basta un pallone. Ma il calcio è anche un gigantesco fenomeno mediatico ed economico, tutti noi calciatori lo sappiamo bene; c’è una grande differenza tra come era ai miei tempi e come è adesso. Ora non si cerca più la gloria, non si pensa più a diventare una bandiera della propria squadra o un’ispirazione per i propri tifosi, come lo sono stati tanti campioni: è tutto incentrato sui soldi.”