Publio Ovidio Nasone nella sua opera “Epistulae ex Ponto” scrive: “Nec census nec clarum nomen avorum sed probitas magnos ingegnumque facit”; “Né le ricchezze né la fama degli avi rendono grandi, ma l’onestà e l’ingegno”. Due virtù che rendono possibile il vivere civile e il perseguimento del valore primo cui ognuno dovrebbe ambire dentro di sé: il sogno di un’umanità più concreta.

Per rendere possibile tutto questo Livia Pomodoro, magistrato dal 1965, Presidente del Tribunale di Milano e ivi  docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore in un breve saggio intitolato “Rispettare l’altro” (1) pone la condizione del vivere civile in un reciproco educarsi e in un crescere insieme all’interno di un contesto che non può ignorare la dimensione del NOI. L’Autrice si pone davanti ad una domanda che tocca le corde più profonde del suo cuore e della sua onestà intellettuale: “Che cosa significa la giustizia? Qual è il suo senso?” Si potrebbe sostenere che sia la virtù morale attraverso la quale si riconosce a ciascuno ciò che gli è dovuto e a chi opera nella giustizia il potere legittimo di tutelare i diritti di ognuno. Ecco perché diventa obiettivo comune quello di operare una “giustizia giusta”.

Due sono i brillanti esempi della nostra singolare antichità presi in analisi: il primo, tratto dalle “Eumenidi” di Eschilo che segna il punto di svolta tra il senso di giustizia che sazia la sua sete sfociando nella vendetta sancita dalla legge del taglione e la consapevolezza dell’urgenza di superare tale logica e divenire voce del bisogno collettivo di compiere un passo in avanti: occorre costruire un tribunale che sia giudice terzo cui sottoporre le scomode questioni e che giudichi secondo regole ferme e sicure.

Il secondo esempio è tratto dal “Gorgia” di Platone, il quale attraverso il singolare personaggio Callicle sostiene che in realtà chi possiede coraggio e forza possiede anche il diritto. Pertanto, seguendo questa logica, i deboli non hanno diritti. Dobbiamo riconoscere e valorizzare, invece, la virtù somma del rispetto per i diritti di ognuno, comprendere che l’uguaglianza è l’altra faccia del diritto e che con essa dobbiamo misurare le nostre scelte. Il giudizio diventa così un’opera attenta, ragionata, scevra da qualsiasi pre-giudizio perché chi giudica è consapevole di appartenere ad una cittadinanza comune: l’umanità intera. In tal senso, l’uomo è giudice del suo tempo e sono quel tempo e le contraddizioni che lo costellano che egli deve conoscere, assumendosi una responsabilità umana, quella verso l’Altro, come rapporto prioritario che la tradizione metafisica occidentale ha annullato cercando di assorbire e identificare l’altro con sé.

Amministrare la giustizia è un compito difficile, a tratti ingrato, ma grande è la positività del messaggio che attraverso di essa passa nella comunità.
La forza del messaggio di Livia Pomodoro è proprio in tale pensiero, nell’appello che rivolge agli uomini e ai giovani che domani si ritroveranno a dover giudicare e segnare le sorti di altri uomini come loro. Come personaggi, insieme mettono in scena questo grande spettacolo che è la vita, con le infinite sfaccettature dell’animo umano e la sua capacità di aderire al bene, magari passando attraverso il male.
Noi giovani faremo la differenza, se con umiltà e saggezza non ci fermeremo di fronte all’enunciazione del dibattito, ma ci metteremo in discussione ogni giorno della nostra vita per opporci a fenomeni che distruggono la nostra umanità: violenza, intolleranza, indifferenza, corruzione, cercando di capire cosa si sia spezzato nel sistema di valori riguardo al rispetto per la dignità dell’altro. Forti di questa riflessione, cureremo la qualità e il valore del nostro giudicare.
Queste riflessioni accendono i riflettori sulla necessità di educare al RISPETTO. E’ qui l’essenza della nostra attenzione alla giustizia, come ci proviene anche e soprattutto dall’insegnamento evangelico. I violenti, i bulli, i sediziosi sono “ignoranti” riguardo la bellezza, l’indiscutibile importanza e la fondamentale partecipazione al VIVERE UMANO, al vivere sociale, al vivere in una comunità. Citando il “Discorso della montagna”, è una beatitudine molto difficile da perseguire la giustizia, ma se decidiamo di metterci alla prova, se desideriamo che essa sia la lanterna della nostra strada futura, allora noi saremo saziati, come “coloro che hanno fame e sete di giustizia”.
Da oggi, assumiamoci attentamente le nostre responsabilità! Siamo italiani, chiamati ad osservare ciò che accade intorno a noi senza mai abbassare la testa, ma piuttosto usarla per fare della libertà la nostra scelta, delle leggi e dei diritti i nostri argini e i nostri punti di forza, per fare della realtà il luogo in cui accrescere la nostra capacità di essere cittadini, e per fare di noi stessi gli amanti della nostra umanità.

(1) Livia Pomodoro, Rispettare l’altro – Beati quelli che giudicheranno se stessi, San Paolo ed., 2014.